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Una proposta per risolvere il problema delle sofferenze bancarie

di Fabio Dragoni e Antonio M. Rinaldi

A fine 2017 le sofferenze lorde delle banche italiane ammontavano a circa 167 miliardi per scendere a un valore netto di 103 dopo svalutazioni per quasi 64.

Uno stock a fronte del quale gli istituti devono accantonare un patrimonio supplementare stimabile in 5-8 miliardi, sempre che non siano necessarie ulteriori svalutazioni per adeguare all’importo di presumibile realizzo il valore di questi crediti e delle nuove sofferenze fisiologicamente in entrata a causa della crisi. Cifra risibile se confrontata agli oltre 400 miliardi con cui Berlino ha messo in sicurezza le sue banche dopo il 2008 o ai quasi 6 miliardi spesi da Palazzo Chigi per ricapitalizzare il solo Montepaschi. Scenarieconomici.it propone da tempo diagnosi e terapie non convenzionali per la soluzione del problema. In anni di crisi cosi severa e duratura bisogna abbandonare la logica dei requisiti patrimoniali imposta dalle attuali direttive. Gli Rwa (Risk weighted assets) quale base di calcolo del Ceti e degli altri coefficienti patrimoniali sono che un valore convenzionale che avvantaggia alcune banche (quelle del Nord Europa, che fanno poco credito e molta finanza) a scapito di altre (guarda caso le italiane, che fanno l’esatto opposto).

Sarebbe assai più logico obbligare le banche schiacciate dai non performing loans a non distribuire utili sino a che patrimonio e sofferenze non si avvicinano a valori più congrui.

E’ controproducente imporre stringenti livelli di capitale perchè ciò che serve e una maggiore elasticity nella gestione dello stato patrimoniale.

Obbligare gli istituti a sfiancanti ricapitalizzazioni deprime i corsi azionari di una borsa dove il peso del settore bancario e massiccio. Serve ripartire dalla garanzie esplicita della banca centrale, come avviene in ogni Paese normale fuori dall’Eurozona. Invece che iniettare capitale nelle banche il governo dovrebbe immetterlo nell’economia reale investendo in infrastrutture. Fare banca è infatti relativamente facile se le cose vanno bene, e certamente impossibile se invece vanno male, in quanto le banche si curano da sole se l’economia viene a sua volta curata.

Pensare di salvarle con i soldi degli italiani, anche tosando i loro risparmi con il punitivo bail-in, non aiuterà ne il governo ne le banche ne soprattutto i cittadini e le imprese (F. Lugano, 2016). La Vigilanza dal canto suo costringe le banche a cedere consistenti pacchetti di npl mettendole in una situazione di sfacciata debolezza contrattuale di fronte ai potenziali acquirenti quasi sempre stranieri.

Gli istituti sono quindi spinti prima a programmare con largo anticipo le dismissioni classificando i portafogli destinati alia vendita nella categoria «hold to collect and sell® per poi valutarli al prezzo di presumibile realizzo correggendone il valore contabile.

Infine per indorare la pillola la nuova direttiva Ifrs9 stabilisce che gli impatti di queste cessioni non transitino dal conto economico ma solo dallo stato patrimoniale.

I prezzi di cessione dei portafogli spesso non arrivano al 20% del valore nominale; il prezzo di cessione di tutto l’attuale stock di sofferenze delle banche italiane si aggirerebbe pertanto intorno ai 32 miliardi con la conseguente presenza di altrettante svalutazioni latenti nei bilanci delle banche.

Il debitore ceduto (imprenditore o famiglia che sia) si trova di fronte un nuovo creditore il cui unico obiettivo e massimizzare il rendimento dell’investimento minimizzandone i tempi.

Ne consegue un’accelerazione dei processi esecutivi con un ulteriore deprezzamento dell’intero mercato immobiliare, infestato di offerte di vendita dei beni ipotecati.

Un processo forzoso e forzato che non assicura vantaggi ne alle banche (costrette a estenuanti corse contro il tempo per cedere i portafogli a prezzo di saldo) ne all’economia reale, che vede disintegrarsi le quotazioni del patrimonio immobiliare di tutti gli italiani.

Ogni tentativo di velocizzare le procedure esecutive finisce quindi per essere paradossalmente prociclico, deprimendo ulteriormente i prezzi degli immobili. Urge un radicale cambio di rotta che salvaguardi famiglie e imprese senza privare le banche della possibilità di gestire e cedere i propri attivi.

Avanziamo quindi dalle colonne di MF- Milano Finanza una proposta innovativa che dia ai debitori ceduti la facoltà di riscattare il proprio debito entro 90 giorni dall’avvenuta cessione pagando all’acquirente un prezzo pari a quello di cessione maggiorato di uno spread (ad esempio, il 10%).

Ciò consentirebbe al debitore di tornare a respirare corrispondendo un prezzo ragionevole e all’acquirente di ottenere un soddisfacente ritorno dell’investimento (40% su base annua), decongestionando inoltre le aule dei tribunali grazie alia diminuzione delle procedure esecutive e risparmiando al mercato immobiliare uno tsunami di aste giudiziarie.

Una sorta di «obbligo di preventiva conciliazione cui l’acquirente dovrà attenersi prima di attivare o proseguire nel recupero forzoso del credito. A ciascun debitore ceduto sarà notificato il valore originario del credito (ad esempio, 100 mila euro), quello di avvenuta cessione (ad esempio, 20 mila) e quello di riscatto cui il destinatario potrà aderire (ad esempio, 22 mila a seguito della maggiorazione del 10%).

Le banche non sarebbero private della possibilità di cedere il credito, gli acquirenti farebbero un ottimo affare e soprattutto si darebbe ossigeno ai debitori consentendo loro di riconquistare la «verginità bancaria».

Per scongiurare comportamenti opportunistici dei debitori deve essere previsto un termine oltre il quale la normativa non sia più applicabile.

La proposta è perfettibile e quindi aperta al contributo di operatori, accademici e regolatori. Auspichiamo una costruttiva partecipazione alia definizione del relativo disegno di legge, che di fatto consisterebbe in una parziale modifica dell’articolo 58 del Testo Unico Bancario.

Chiediamo infine ai leader del Paese cosa pensano e se intendono farsi carico di questa proposta, volta a riequilibrare i rapporti di forza fra creditori e debitori e di cui l’economia italiana ha maledettamente bisogno.

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